Il degrado del web

Il degrado del web

L’inglese è una lingua efficace.

Per descrivere il degrado della qualità dei contenuti e delle interazioni che compongono il web dei giorni nostri è stata scelta una parola che rende perfettamente l’idea: enshittification.

L’ha utilizzata per la prima volta Cory Doctorow in un articolo pubblicato lo scorso gennaio 2023 su Locus Mag e poi l’ha ripresa in questo post sul suo sito per parlare dell’evoluzione di TikTok.

La sua teoria è semplice.

Le piattaforme all’inizio si prendono cura degli utenti. Poi ne abusano per prendersi cura dei clienti commerciali. Infine, abusano anche di questi per recuperare tutto il valore e tenerlo per sé.

Questo è possibile perché inizialmente le piattaforme sono brave a creare esperienze di cui a un certo punto non riusciamo a fare a meno.

Avresti mai lasciato Facebook nel 2012? Perdendoti tutto quello che stava succedendo nelle vite dei tuoi amici? Probabilmente no.

E una volta che sei incastrato, il gioco è fatto.

This is enshittification: surpluses are first directed to users; then, once they’re locked in, surpluses go to suppliers; then once they’re locked in, the surplus is handed to shareholders and the platform becomes a useless pile of shit.

Con il tempo, il tuo feed si riempie di pubblicità, diminuiscono i contenuti dei tuoi amici e delle tue pagine preferite e aumentano i post sponsorizzati di account che non segui.

Allora dopo un po’ ti stufi, frequenti di meno la piattaforma, smetti di interagire, la lasci, ne cerchi una migliore. E chi investe in pubblicità ti segue.

E così Elon osserva Twitter affondare e Mark prova a salvarsi creando un Meta-verso che nessuno vuole utilizzare.

Ma non è un processo che riguarda solo i social.

Anche Amazon ha vissuto una profondo degrado da quando è nata. Ora è un mucchio di prodotti di scarsa qualità, con nomi incomprensibili, caricati da venditori che pagano centinaia di migliaia di dollari per posizionarsi tra i primi risultati nelle ricerche e per accedere ai suoi servizi di logistica – e che quindi sono gli unici clienti ai quali Amazon è davvero interessata.

A mio parere, poi, il degrado del web va anche oltre la enshittification delle piattaforme.

Assistiamo a un calo generale della qualità dei contenuti online in tutti i formati.

I blog sono diventati macchine per generare traffico e convertire le visite in vendite di spazi pubblicitari e in click per guadagnare dai programmi di affiliazione.

Gli articoli non sono più scritti per le persone, ma per la SEO.

Quindi, se stai cercando un parere autorevole o un’informazione affidabile, vai da un’altra parte.

Ma dove?

I video su YouTube sembrano fatti con lo stampino. Stesse copertine, stessi titoli click bait, stessi concetti triti e ritriti.

Chi produce ancora contenuti di valore ovviamente c’è, per fortuna. Ognuno di noi ha in mente almeno una ventina di pagine o influencer famosi che hanno costruito meritatamente un ampio seguito online.

Il problema sono la miriade di creator che provano a imitarli pretendendo di raggiungere il loro stesso successo mediatico ed economico, ma nella metà del tempo.

Così si mettono da parte le idee originali, la qualità dei contenuti, il valore delle conversazioni e diventa tutto un copia e incolla fatto male.

E il sogno della ricchezza istantanea sembra anche legittimo perché alimentato incessantemente da un esercito di scammer, i truffatori del web.

Li riconosci perché di solito vivono a Dubai, si fanno la foto davanti alla “Lambo” o al jet privato (rigorosamente noleggiate per l’occasione) e, soprattutto, vogliono venderti un corso. Il corso in cui ti spiegano il loro metodo per diventare ricco, che consiste proprio nel vendere corsi ad altre persone che vogliono diventare ricche.

A tutto questo si aggiunge poi l’ultimo grande trend: l’intelligenza artificiale.

Proprio lei.

ChatGPT è usata per creare interi siti di spam.

Etsy è invasa dalla “spazzatura generata dall’intelligenza artificiale”.

I chatbot si citano a vicenda in un ciclo infinito di disinformazione.

Wikipedia è fatta a pezzi dall’AI.

Lo spiega bene The Verge in un articolo fantastico che traccia il passaggio dal vecchio al nuovo web.

Lo stesso articolo conclude affermando che si tratta solo di uno dei tanti cambiamenti che il web ha vissuto nell’arco della sua storia, ma che questo non significa che non sia importante e che quello che verrà sia necessariamente meglio di quello che c’è oggi.

The new web is struggling to be born, and the decisions we make now will shape how it grows.

Le decisioni che prendiamo oggi daranno forma al modo in cui il nuovo web crescerà.

Sicuramente i governi dovranno trovare una quadra su come tutelare gli utenti e scoraggiare i monopoli dell’informazione e la manipolazione dei comportamenti.

Nel frattempo, da utenti, possiamo sicuramente fare tre cose:

  1. Vivere il digitale in maniera consapevole e critica, verificando le informazioni che leggiamo, andando oltre ai titoli e alle prime pagine dei risultati – e insegnando a farlo a chi è venuto prima e a chi verrà dopo di noi.

  2. Pensare al web come a un luogo in cui passiamo (gran) parte delle nostre giornate e che possiamo personalizzare scegliendo le piattaforme, i social e le pagine da seguire in base a ciò che è davvero rilevante per noi, che ci aiuta a raggiungere i nostri obiettivi e che ci fa stare bene.

  3. Aggiungere valore alle conversazioni online, evitando di fare gli hater e i troll nel tentativo di accumulare like o di avere sempre ragione

In questo modo possiamo almeno provare a continuare a navigare, e non galleggiare, in questo enorme mare di… contenuti.

Questo post è un estratto di Relevant Newsletter. Leggi la storia completa a questo link.

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